La Cassazione salva gli atti firmati dai dirigenti "illegittimi" dell’Agenzia delle entrate decaduti a seguito della sentenza n. 37/2015 della Corte costituzionale. Le cause di nullità degli accertamenti fiscali previste dalla legge sono «tassative» e tra queste non rientra la necessità che i funzionari (delegati o deleganti) rivestano qualifica dirigenziale. L’articolo 42 del dpr n. 600/1973, infatti, fa riferimento solo al «capo dell’ufficio» o ad «altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato», senza richiedere che il soggetto che firma debba anche rivestire una qualifica dirigenziale. Non rileva il fatto che ciò sia richiesto da altre disposizioni, anche di natura organizzativa. Gli unici atti affetti da nullità sono quelli emessi a seguito di delega impersonale, che riporti cioè solo la qualifica del delegato e non anche il suo nominativo. Così ha deciso la sezione tributaria della Cassazione, che con tre distinte sentenze (le nn. 22800, 22803 e 22810) ha risolto a favore del fisco una delle querelle giudiziarie più accese degli ultimi anni.

Come anticipato da ItaliaOggi del 10 ottobre 2015, le udienze si sono tenute il 21 ottobre scorso. Il deposito è avvenuto a tempo di record, anche per rispondere all’esigenza sollevata dall’Avvocatura dello Stato di una pronta definizione di un contenzioso ormai imponente: dopo il verdetto della Consulta quasi tutti i contribuenti eccepivano (in qualsiasi stato e grado del giudizio e talvolta "al buio") il vizio di firma, gravando l’Agenzia di pesanti oneri probatori anche quando era tutto in regola. Ctp e Ctr, d’altra parte, si sono pronunciate finora in ordine sparso, accogliendo in molti casi le ragioni del contribuente e ammettendo talora la rilevabilità tardiva e/o d’ufficio della nullità (peraltro già recentemente esclusa dalla Cassazione).

Valerio Stroppa – 10 novembre 2015 – tratto da Italia Oggi

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