Il fisco costringe oltre 100mila imprese con attività in perdita a pagare le tasse. È l'effetto delle variazioni in aumento di natura fiscali. In questi casi il 24% delle società passa da una perdita civilistica ad un reddito imponibile con il conseguente obbligo di pagare le imposte. Il dato emerge dalle statistiche dei dati Ires (anno di imposta 2018) pubblicato ieri dal dipartimento delle finanze. In parole povere, sebbene l'attività svolta da questi soggetti risulti di fatto in perdita, le regole del gioco fiscale, con le numerosissime limitazioni alla deducibilità di costi sostenuti dalle imprese, ne hanno ribaltato completamente il risultato. Analizzando i dati dal punto di vista civilistico, quello che di fatto racconta la realtà aziendale, le società di capitali che nel 2018 hanno avuto un utile da bilancio sono pari al 58% del totale, quelle che hanno una perdita rappresentano il 34% e il restante 8% ha chiuso in pareggio. Quando però la partita passa sul piano fiscale, i limiti alla deducibilità dei costi cambiano completamente i rapporti. Post rettifiche e variazioni in aumento crescono al 64% i soggetti che dichiarano un reddito d'impresa rilevante ai fini fiscali, scende al 29% la percentuale delle imprese in perdita e passa al 7% quella delle società che terminano l'anno in pareggio. L'incidenza di questo fenomeno è molto rilevante nel settore immobiliare dove ben il 39% delle imprese con risultato in perdita si trova a fine anno invece con utile tassabile. Per questi soggetti l'effetto è correlato principalmente alla parziale deducibilità dell'Imu, imposta molto onerosa. Notevole anche il peso della limitazione alla deducibilità degli interessi passivi disposta dell'art. 96 Tuir. Arrivano a 30 mld gli interessi passivi iscritti in bilancio dalle società nel 2018 ma di questi, compresa la quota di ulteriori 39,5 mld relativi ad annualità precedenti, solo il 37,7% risulta essere deducibile.

I dati generali. Nel 2018 risultano 1.229.010 le dichiarazioni presentate dalle società di capitali con una numerosità in crescita del 2,6% sul 2017. L'8% delle società risultano in risulta in fallimento (in diminuzione del 4,9%), in liquidazione o estinte (in crescita del 4%). Benché nel 2018 si assista a un rallentamento della crescita del pil (+2,0% in termini nominali e +0,9% in termini reali), il reddito fiscale dichiarato dai soggetti Ires, pari a 174,5 miliardi di euro, si incrementa dello 0,7% rispetto al 2017. Anche la base imponibile dichiarata di 140,6 miliardi di euro ha subito una contrazione dell'1,8% rispetto l'annualità precedente. Il 59,7% delle società di capitali nel 2018 hanno dichiarato imposte da versare mentre il restante 40,3% ha non ha invece evidenziato imposte o a chiuso l'annualità a credito. L'imposta dichiarata netta è pari a circa 22,1 miliardi con un incremento dell'1,6% rispetto al 2017 a cui vanno sommati i circa 11,5 miliardi di euro (+2,3% rispetto al 2017) corrisposti dai gruppi societari che hanno optato per il regime fiscale del consolidato. Va sottolineato che sul totale versato il 49,1% è corrisposto dalle imprese di maggiori dimensioni ovvero quelle con oltre 50 mln di volume d'affari. Circa il 64% dell'imposta proviene da tre settori: quello manifatturiero (31,9%), il commercio all'ingrosso e al dettaglio (20,8%) e le attività finanziarie e assicurative (10,4%).

Le società di comodo. Sono oltre 18 mila, circa l'1,5% del totale, le società che risultano di comodo ovvero quelle che non presentano un adeguato rapporto stabilito per legge tra determinati beni presenti nell'attivo patrimoniale e ricavi prodotti. È opportuno segnalare che per questi soggetti è prevista l'applicazione di un'addizionale Ires del 10,5% il cui gettito ammonta a circa 16,3 milioni di euro.

Giuliano Mandolesi - 12 marzo 2021 – tratto da Italia Oggi

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