Debutta la «tassa» del Pil sulle pensioni. La pagherà chi andrà a riposo dall'anno prossimo, con un taglio della rivalutazione del c.d. «montante contributivo» su cui si calcola la pensione. Poca cosa, ma il balzello c'è: 2 euro, per esempio, per il lavoratore che andrà in pensione nel 2023 a 67 anni, avendo messo da parte 250mila euro di contributi al 31 dicembre 2021. Infatti, avrà diritto a una pensione di 14.448 euro annui, anziché 14.450 euro. La «tassa» deriva dal taglio dell'indice Istat di rivalutazione dei montanti contributivi, fornito dal ministero del lavoro per il 2022, che, pari allo 1,009973% in misura piena, sarà applicato in misura di 1,009758 al fine di recuperare il tasso negativo dell'anno scorso (- 0,000215). La novità attenuerà i benefici derivanti dai nuovi coefficienti di calcolo della pensione.

È questione tecnica. La questione attiene al calcolo della pensione con la regola «contributiva», in base alla quale l'importo della pensione è una «percentuale» di tutti i contributi versati nella vita che formano il c.d. montante contributivo. Tale percentuale è prefissata dalla legge, da 57 a 71 anni: sono i c.d. coefficienti di trasformazione, anch'essi oggetto di revisione, dal prossimo anno, con un miglioramento a favore di chi si metterà a riposo nel biennio 2023/2024.

La rivalutazione 2022. Il montante contributivo, ogni anno, è soggetto a rivalutazione, affinché conservi il potere di acquisto (al momento della pensione, infatti, i contributi possono risalire anche a 30-40 anni prima). Il tasso di rivalutazione è pari alla variazione del Pil (prodotto interno lordo) misurata nei cinque anni precedenti quello della rivalutazione. È calcolato dall'Istat e ufficializzato dal ministero del lavoro. Quello dell'anno in corso, applicabile ai montanti al 31 dicembre 2021 è pari a 1,009973. Ad esempio, 250mila euro diventano 252.493 euro (su cui si calcola l'importo della pensione).

Arriviamo alla questione. Il 27 ottobre 2014, nel fornire il tasso di rivalutazione per i pensionati del 2015, l'Istat fece presente che, per la prima volta, il tasso era risultato negativo (- 0,001927). Cosa singolare, perché avrebbe comportato non la rivalutazione. ma la svalutazione del montante (250 mila euro di contributi sarebbe diventati 249.518 euro). L'Inps, in via amministrativa, congelò la svalutazione sostenendo che la legge (è la 335/1995) non prevede l'applicazione del tasso in senso negativo. La tesi è divenuta norma nel dl 65/2015, che ha inserito questo periodo nella legge 335/1995: «in ogni caso il coefficiente di rivalutazione (…) non può essere inferiore a 1, salvo recupero da effettuare sulle rivalutazioni successive».

La rivalutazione 2022. L'anno scorso, a sette anni di distanza, la storia si è ripetuta. L'Istat, infatti, con nota 7 ottobre 2021 ha comunicato il tasso di rivalutazione al 31 dicembre 2020 per i pensionati del 2022: – 0,000215, cioè di nuovo negativo. Ma, per effetto del dl 65/2015, non è stato applicato. A differenza di sette anni fa, però, adesso il tasso di rivalutazione negativo non applicato deve essere recuperato sulla prossima rivalutazione: invece del tasso pieno (1,009973), si deve applicare il tasso ridotto (1,009758) che recupera lo 0,000215 negativo dell'anno scorso. Nell'anno 2014, i pensionati furono graziati, perché la norma stabiliva che «in sede di prima applicazione non si fa luogo al recupero sulle rivalutazioni successive».

Daniele Cirioli - 13 dicembre 2022 – tratto da Italia Oggi

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