Uno stress test. La delega fiscale si prepara all’avvio del voto in commissione Finanze al Senato, che tornerà a riunirsi domani, dopo gli emendamenti depositati venerdì e le fibrillazioni politiche che hanno caratterizzato tutta la scorsa settimana a seguito della richiesta arrivata dal vicepremier Matteo Salvini di una «grande e definitiva pace fiscale». Nella parte del disegno di legge già “consolidato” dopo il voto alla Camera, spicca però una misura - molto attesa soprattutto dai professionisti - per rendere più mirata la stretta sulle società di comodo, ossia quegli schermi fittizi finalizzati solo a intestare immobili o altri beni come auto e imbarcazioni ma che non producono alcun reddito.

L’idea è di andare a colpire solo chi “bara” con il Fisco, cercando di risparmiare sul carico tributario intestando a società asseritamente commerciali (Spa, Srl, Snc) taluni beni di valore (immobili, auto di lusso, barche) che sono in realtà tenuti a disposizione dei soci o dei loro famigliari. Allo stesso tempo questo dovrebbe alleggerire tutta la burocrazia che accompagna il test sui ricavi minimi o la “dimostrazione” di accedere a una delle cause di esclusione, in particolare per società che non realizzano il test, non perché sono strutture fittizie, ma a causa del fatto che i parametri non certo sofisticati di calcolo previsti da una legge che ormai compie trent’anni sono sbagliati, se non proprio insensati. In un contesto in cui dal periodo d’imposta 2022 è arrivato anche l’addio alla penalizzazione per chi era in perdita sistematica e in cui i numeri delle dichiarazioni dei redditi mostrano una flessione del 23% del numero delle società di comodo (passate da poco più di 21mila a 16.200 in sei anni).

Ma, nella pratica, cosa cambierà per le società di comodo dopo la riforma? Per allineare le norme ai principi comunitari, che prevedono, come detto, di penalizzare soltanto le società utilizzate come schermo dei beni dei soci, si dovranno riscrivere, e periodicamente aggiornare, le percentuali che servono per stimare i valori economici e patrimoniali che fanno presumere l’esistenza di una struttura “di comodo”. Di fatto, un tentativo di rendere meno statico il presidio di regole e aliquote per fotografare al meglio chi è davvero fuori dai parametri dell’operatività. La norma contenuta nella delega fa riferimento anche al quadro delineato dalla giurisprudenza di Cassazione e della Corte di giustizia Ue.

L’altro “piatto forte” contenuto nella delega riguarda poi l’individuazione di nuove e più articolate cause di esclusione legate, non già a dati di bilancio uguali per tutti, ma ad elementi differenziati per settore di attività che facciano uscire dal regime, senza neanche doversi occupare di svolgere complicati calcoli, tutte le società che, anche se con ricavi inferiori alle medie del fisco, svolgono una reale attività di impresa, lasciando ad altri strumenti di controllo e di accertamento il compito di verificare se questa carenza di proventi sia indice di sottofatturazione e di evasione.

Più in generale, dovrebbe essere sancita per legge la regola secondo cui non si è mai di comodo, a prescindere dal volume dei ricavi e del reddito, se si esercita una reale attività di impresa. Ma anche il congruo numero di dipendenti sarà ritenuto un parametro in grado di assicurare l’operatività della società.

In ogni caso, come anticipato, una sorta di preludio agli interventi della riforma si è avuto, già con il decreto Semplificazioni dello scorso anno (Dl 73/2022), con l’abolizione dell’altro, anacronistico, strumento che avrebbe voluto stanare le strutture di comodo. Dal 2011, la legge prevedeva che le società in perdita per cinque esercizi consecutivi (o in quattro esercizi oltre ad uno di reddito inferiore a una soglia minima) erano automaticamente dichiarate «non operative», entrando nel “girone dei dannati” dei calcoli e delle esclusioni per evitare di pagare imposte su un utile inesistente.

L.Gaiani/G.Parente - 27 luglio 2023 – tratto da Sole24ore.com

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